Sir John, artigiano del legno di origini indiane, con una pazienza opposta allo zen e un debole per i gilet di lino stropicciati, si ritrovò per puro caso a rimuginare sul suo percorso di vita al mercato biologico locale di Canossa. Tali venditrici di arte concettuale riciclata a mo’ di immondizia nobilitata, associate con la confagricoltura locale, ritenevano che la loro merce venisse seriamente oscurata dalla sobria eleganza del recente competitor. Così iniziarono a prendere di petto il problema tuonando svariati raffinati insulti di fronte a tutti. “Malfido artigiano del paleolitico digitale!” Oppure: ”Scultore di sottobicchieri per agriturismi!”. In molti al mercato alzarono finalmente lo sguardo. Ma erano decisamente poco abituati a cotanta partecipazione. Sir John, con un sorriso enigmatico alla Monna Lisa, raccolse una foglia di tarassaco da un cesto di insalata biologica. “Se questa foglia,” sussurrò con un tono da intenditore di tè rari, “iniziasse a recitarmi Pasolini in dialetto reggiano, dovrei forse controbattere con un sonetto del Petrarca tradotto in esperanto? ” Il dibattito al mercato si spense come una performance di Marina Abramović durante l’ora di punta. I presenti, finiti gli acquisti, presero ugnuno la propria strada. C’era da andare nei campi a dare il letame e non avevano di certo il tempo per prendere una posizione. Sir John tornò a levigare il legno e pensò che le rampogne possono anche essere silenziose in questi luoghi. Rispondere sempre a tutte le flatulenze sparate dalla bocca di certi astanti – cercando di spiegar loro che sono sgradevoli sia da sentire che da annusare in uno spazio chiuso – è come cercare di illustrare la relatività dello spazio-tempo ad un piccione. Stimolante ma pur sempre stupido, in quanto tali spiegazioni saranno irrilevanti per il volatile.
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